domenica 6 marzo 2016

Peperoncino mon amour

Il peperoncino dai molti usi non finisce mai di stupire. È una pianta rustica facile da coltivare. Contiene più vitamina C delle arance, disinfetta la mucosa intestinale e stimola il piacere sessuale
Dal suo arrivo nel Vecchio Mondo e a seguito dei numerosi scambi che si verificarono tra Paesi lontani, il peperoncino si è evoluto in numerose specie; ha assunto nuove forme e nuove intensità di piccantezza a seconda della geografia, delle caratteristiche genetiche, dal luogo in cui viene coltivato e adoperato. Il peperoncino piccante era usato come alimento nel continente americano fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza di reperti archeologici viene segnalato già nel 5.500 a.C. in Messico ed Ecuador, presente in quelle zone come pianta coltivata, ed era la sola spezia usata dagli indiani del Cile e del Messico. Però si ritiene che il suo consumo risalga ad almeno il 7500 a.C., e che si tratti di una delle primissime specie coltivate in quel centro di origine dell’agricoltura. Quando si pensa al peperoncino, le prime immagini che ci scorrono nella mente ci rimandano agli altopiani delle Ande ( zona originale di provenienza) o alla Calabria. In realtà la sua rusticità permette una crescita ottimale in tutta la penisola italiana. Colombo intuisce e sostiene le qualità nutritive e medicamentose del peperoncino, che trova in abbondanza e gli sembra migliore del pepe. E infatti già dal secondo viaggio, Colombo porta in Spagna il peperoncino e lo diffonde avviandone la coltivazione della pianta nel vecchio mondo. Si immaginava che questa potesse essere una spezia da importare con interessante profitto, ma ci si accorse ben presto che era più semplice e conveniente coltivarla direttamente in Europa.
La sua rusticità ne ha permesso una diffusione planetaria
Coltivare il peperoncino è infatti abbastanza semplice, questa è una delle ragioni che ne hanno permesso una diffusione planetaria. Ciò che conta principalmente è di poter usufruire di luce e calore per un arco di tempo sufficientemente ampio. Alcuni aspetti della coltivazione del peperoncino richiedono una certa attenzione: una concimazione non eccessiva, un’irrigazione molto attenta, un adeguato sostegno delle piante – aspetto colturale abbastanza trascurato nei piccoli orti – e una raccolta accurata data la delicatezza dei frutti. In compenso questo ortaggio è capace di dare il proprio prodotto per un lungo periodo e i peperoncini, conservati con differenti modalità, possono arricchire la mensa per quasi tutto l’anno. Nella fase di ingrossamento dei frutti è necessario irrigare spesso ma con limitate quantità d’acqua a mezzo di manichette preferibilmente. La semina viene normalmente effettuata in serra riscaldata da gennaio a marzo, con trapianto in pieno campo da fine aprile a fine maggio. Questo permette alla pianta di completare il proprio ciclo vegetativo e produttivo prima della successiva epoca delle gelate.

La capsaicina
Non sopporta il gelo ma se adeguatamente “curata” può restare in vita per diversi anni
Nessuna delle varietà coltivate sopporta il gelo e può soccombere se non adeguatamente protetta. Chi desidera mantenere le piante per l’anno successivo, dovrebbe pertanto coltivarle in vaso e riporle al riparo dal gel, ma con un’adeguata fonte luminosa. Per quanto riguarda il terreno, il peperoncino predilige un terreno di medio impasto, ben strutturato e ben dotato di sostanza organica. La rotazione è importante per evitare i fenomeni di stanchezza del terreno e lo sviluppo di parassiti ed infestanti. La raccolta può avvenire da luglio a ottobre con i frutti che a piena maturazione saranno sempre rossi o al massimo sul giallino. Oggi nel mondo vengono coltivate numerose varietà di peperoncino, differenti per grandezza e forma del frutto , soprattutto per livello di piccantezza. Botanicamente appartiene alla famiglia delle Solanacee ( stessa famiglia di patate e pomodori) e il suo nome scientifico è capsicum. Le cinque specie coltivate sono il Capsicum annuum, il Capsicum baccatum, Capsicum fruttescens ( ne fa parte il tabasco), Capsicum chinense ( che include alcune delle varietà più piccanti, come l’Habanero e il Bhut Jolokia) e il Capsicum pubescens. Di queste specie principali esistono poi centinaia di varietà.
Può avere varie funzioni in cucina: da semplice aromatizzante a ingrediente principale per la “concia” di alcuni salumi meridionali
Una delle principali caratteristiche del peperoncino è la versatilità. In cucina può essere utilizzato sia fresco che essiccato o in polvere per insaporire salse, sughi, ma anche carni, pesci, formaggi e salumi. In taluni casi può costituire non solo un aromatizzante, ma un ingrediente vero e proprio. Nel corso dei secoli è diventato uno dei principali condimenti utilizzati nella cucina mediterranea, in particolare nelle regioni del sud Italia che ne hanno fatto la base per diversi prodotti tipici regionali. Spicca tra queste la Calabria, dove il peperoncino è un vero e proprio culto, che offre tra l’altro diversi insaccati, tra cui la ‘Nduja, a base di carne e grasso di maiale e molto peperoncino in polvere. Armonizza bene il grasso, degustando i prodotti della salumeria calabrese si avvertono infatti sapori caldi e pieni dove i sapori sono esaltati senza essere coperti. Pur avendo un sapore forte e robusto ben si presta a completare una preparazione delicata come i bianchetti ( la neonata) che è una preparazione ittica a base di novellame di pesce dove Trebisacce, un piccolo porto ittico dell’Alto Jonio cosentino, rientra tra le zone di produzione più rinomate. Inoltre è uno degli ingredienti del cocktail Bloody Mary.
Non sono i semi che rendono il frutto piccante bensì il tessuto placentare
La capsaicina ( l’alcaloide maggiormente presente nel frutto che determina la piccantezza) si concentra nella parte superiore della capsula, dove ci sono ghiandole che la producono, diffondendosi poi lungo la capsula. Al contrario di quanto si crede comunemente, non sono i semi, ma la membrana interna, la placenta, che contiene la maggior parte di capsaicina: quindi è quasi inutile togliere i semi per ridurre la piccantezza del frutto, mentre è consigliabile togliere la placenta.
La piccantezza e la “scala di Scoville”
Le varietà di peperoncino sono molte ma tutti devono il loro sentore di piccante alla capsaicina. È contenuta nel peperoncino in diverse quantità e attiva le fibre nervose collegate ad un canale ionico. Il canale si apre lasciando passare ioni Na+ e Ca+ dove la depolarizzazione induce lo stimolo neurormonale al cervello. La biosintesi della capsaicina avviene nell’ovario del seme. Il tessuto placentare del frutto contiene la maggior quantità di capsaicina. La scala di Scoville misura l’intensità di piccante che, partendo dallo 0 per il peperone comune, arriva a 300.000 SHU per la varietà Habanero proveniente dal Messico , 577.000 SHU per l’Habanero Red Savina ed ora supera 1.000.000 SHU per la varietà Bhut Jolokia, Naga Moric e Dorset Naga. Da ustione! La scala di Scoville si basa proprio sulla quantità di capsaicina contenuta nel peperoncino e indica quante volte bisogna diluirlo in acqua zuccherina per avere un effetto nullo.

Il suo gusto trova spazio nelle preparazioni culinarie di tutto il pianeta
All’estero il peperoncino è usato molto in Messico (nelle salse, nel chili con carne), in Nordafrica (dove è alla base della harissa) ed in India. Le cucine indiana, indonesiana, cinese sono associate all’uso del peperoncino, sebbene la pianta sia arrivata in Asia solo dopo l’arrivo degli europei. Una volta macinato il peperoncino modifica l’intensità del gusto: il grado di piccantezza però varia non solo in base alla varietà di peperoncino scelta, ma anche in base al grado di maturazione: infatti più è maturo e più è forte. Inoltre lo stress ambientale, tra cui la siccità e il freddo, accentua il sapore piccante.
Un portento di vitamine e una marcata attività afrodisiaca
Il peperoncino è anche il cibo più ricco di vitamina C: ne contiene ben 229 mg per 100 g di prodotto ( praticamente cinque volte più delle arance) ed è anche ricchissimo di vitamina A, bisogna però considerare che, date le piccole dosi che se ne usano, l’apporto di vitamine non è altissimo. Grazie alla produzione di endorfine, il peperoncino agisce come antidolorifico sulla mucosa dello stomaco.
Agisce a livello intestinale come potente disinfettante. Gli effetti antiossidanti hanno portato alcuni studiosi ad ipotizzare effetti anticancerogeni. La capsaicina inoltre aumenta la secrezione di succhi gastrici, favorendo così la digestione. In alcune regioni meridionali si conserva la tradizione di preparare un infuso digestivo fatto con camomilla calda, un cucchiaino di peperoncino in polvere e addolcito con miele. Infine, un cenno alla virtù più decantata: quella afrodisiaca. Sembra che esista un legame tra il piacere piccante del peperoncino e quello dell’arte di amare, il segreto secondo gli scienziati sarebbe nell’attività vasodilatatrice che richiamerebbe il sangue nelle zone erogene stimolandone la funzionalità.
molandone la funzionalità.




Spegnere il “fuoco” Per mitigare un eventuale eccesso di bruciore il metodo migliore è bere il latte, oppure yogurt o un qualsiasi formaggio a pasta morbida o latticino. La caseina infatti ha la capacità di rimuovere la capsaicina dai recettori nervosi. La capsaicina si scioglie molto bene anche nei grassi e nell’alcool, quindi anche prodotti grassi o bevande alcoliche aiutano a rimuovere la sensazione dolorosa. Per le alte concentrazioni, come nell’Habanero Red Savina o estratti vari, il modo più efficace è usare del ghiaccio come anestetico.

lunedì 12 gennaio 2015

Siamo davvero diventati tutti chef??????



Ammettiamolo ormai il mondo della cucina sembra non avere più segreti per nessuno. Che si parli di un'ambientazione domestica o professionale, di ricette semplici e divertenti oppure elaborate e raffinate, il mondo della ristorazione sembra davvero alla portata di tutti. Quali giudici improvvisati di un food-reality, declamiamo il nostro disgusto come Ramsey di fronte all'ennesimo piatto precotto, assestiamo virtuali scappellotti alla Cannavacciuolo sulla nuca del cameriere imbranato, abbozziamo un bilancio delle entrate sulla base dei prezzi del menù, ci soffermiamo persino sulle possibili modifiche dell'arredo in sala. Ma è davvero tutto qui? È davvero così facile gestire un ristorante di successo?
Tanti programmi televisivi parlano di cucina, alcuni mostrano le capacità dei concorrenti, altri quelle dei giudici, altre ancora esaltano la bellezza dei piatti o la passione per il cibo ma solo pochi sanno che un ristorante deve rispondere a tutte le problematiche di una normale impresa come il canone di locazione, il costo del personale dipendente, la stagionalità del fatturato, i competitors, etc.
Lasagnetta di pesce con gamberi saltati PDG(c)2014
Secondo me il ristorante deve essere visto come impresa non solo in un contesto economico complesso come quello attuale, ma anche all'interno di una evoluzione del gusto e dei consumi su scala mondiale da cui non è possibile prescindere. Le potenzialità in termini di impresa sono la capacità di gestione e di sviluppo di una proposta affascinante sotto il profilo dei contenuti e allo stesso tempo, vendibile e generatrice di fatturato. Si è abituati a vedere il ristorante come luogo di piacere e si misurano in genere la bravura dello chef, la qualità del servizio o l’ampiezza della cantina.     Ma solo questo è sufficiente?
Il ristoratore o chi per lui ne fa le veci, deve essere prima di tutto un imprenditore e il ristorante va gestito come un’azienda. La crisi economica impone ai manager più professionalità e quindi maggiore consapevolezza del proprio ruolo. Molti chef pensano solo a cucinare anziché comprendere che il loro fine ultimo è fare business  perseguendo il soddisfacimento dei bisogni del cliente. Infine, negli ultimi venti anni la società si è confrontata con i social media che hanno cambiato il modo di comunicare e quindi,  di fare e modificare i driver per la scelta del ristorante. Se per il ristorante la rete è opportunità per dialogare con il cliente, stare al passo con i tempi e creare nuovi network per le prenotazioni significa però anche anonimità e inattendibilità dei giudizi sui siti specializzati.
Alcuni grandi chef italiani sono diventati brand internazionali, perché al talento della figura professionale, si è saputo unire, a mio avviso, una visione imprenditoriale tout court. Il talento espresso attraverso attrezzature di cucina come casseruole e cuocipasta è praticamente nullo senza una business idea  valida , un business plan coerente e realistico, senza la capacità di introdurre in azienda progetti competitivi per affrontare al meglio la frammentata offerta della ristorazione commerciale, saper scegliere partner e fornitori, selezionare le consulenze giuste. È evidente che neppure la più idilliaca poesia dei sapori possa esprimersi fuori dalla metrica dei ricavi e degli attesi utili.

lunedì 15 dicembre 2014

Food Authentication





Food Authentication
La frode alimentare è un fenomeno in aumento, dovuto all’apertura dei mercati internazionali e alla globalizzazione. L’uso di metodi di analisi affidabili che assicurino la corrispondenza tra quanto dichiarato dal produttore (etichetta) e l’alimento è necessario per eliminare il rischio di falsificazione. La fronde, solitamente, prevede la sostituzione dell’ingrediente con un altro chimicamente e biochimicamente simile, rendendo l’identificazione molto complessa. L’autenticazione di un alimento permette di verificare se l’alimento in esame corrisponde alla descrizione riportata in etichetta.

Ad esempio tra un Prosciutto di Parma DOP e un  prosciutto normale cambia la quantità di sale aggiunta ( max 6% nel marchiato) e il tempo di stagionatura ( superiore per il P
black tomato fonte: http://www.looneypalace.com/img01/exotic-fruits02.jpg
arma).

Major Food Authentication Schemes and Systems
Principali tipi di autenticazione:
·       Protected Designation of Origin (PDO) covers agricultural products and foodstuffs which are produced, processed and prepared in a given geographical area using recognized know-how.

·       Protected Geographical Indication (PGI) covers agricultural products and foodstuffs closely linked to the geographical area. At least one of the stages of production, processing or preparation takes place in the area.

·       Traditional Speciality Guaranteed (TSG) highlights traditional character.
500x500_ristoranti Licenza Creative Commons
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